Marisa Varvello fa parte del coordinamento nazionale di Recosol, ex sindaca di Chiusano d'Asti ed insegnante in pensione è una grande lettrice e appassionata di letteratura.
Si riscontra un crescente interesse fin dagli anni ’80 per la letteratura migrante, che veniva ricondotta solitamente ai flussi migratori degli inizi del XX sec. (quelli europei verso il nord America o l’Australia, quelli delle ex colonie europee). Negli ultimi trent’anni si parla di letteratura migrante italiana,
riferendosi a quell’insieme di opere letterarie italofone scritte da
migranti di madrelingua non italiana. E’ il caso di Amara Lakhous, nato ad Algeri nel 1970. Arrivato in Italia nel 1995, dopo pochi anni ha adottato l’italiano come lingua di scrittura, diventando una delle voci più originali del panorama letterario italiano. Con le Edizioni E/O ha pubblicato Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. Questo romanzo nel 2006 ha vinto il premio Flaiano e il premio Racalmare–Leonardo Sciascia. Dal libro è stato tratto l'omonimo film per la regia di Isotta Toso. Dal 2015 vive a New York dove continua il suo lavoro di scrittore e sceneggiatore. Questo potrebbe sembrare un libro sugli immigrati, invece è un libro che parla agli italiani e degli italiani. Ci ridicolizza e ci compatisce nella nostra ingenua ignoranza delle diverse etnie. Ci presenta gli italiani che vivono a Piazza Vittorio. Nell’ascensore di un palazzo, dove convive un’affollata comunità multietnica, viene ritrovato il cadavere di un piccolo delinquente, il Gladiatore. Le indagini si concentrano su Amedeo, esule algerino, ma i condomini formulano ipotesi diverse dando luogo, così, a un intreccio di tante verità: quelle dell’aspirante regista olandese, della bisbetica portiera napoletana, del professore milanese che detesta i
romani, del cuoco iraniano che odia la pizza, della signora che vive per il suo cagnolino, della badante peruviana e della ragazza impegnata nel volontariato. Tutti raccontano la loro versione dei fatti. Nei loro racconti si delinea, infatti, sia la cruda realtà del razzismo e degli stereotipi all’interno di una società che fa fatica ad accettare la diversità e l’integrazione, sia la tolleranza e la solidarietà.
L’autore, attraverso questa polifonia linguistica e culturale – sapientemente mescolata alla satira di costume – ci invita a percepire la diversità con ironia e, allo stesso tempo, ci sfida a conoscere aspetti delle culture migranti a noi sconosciuti. Più che dell’apparire, questo testo ci parla dell’appartenere. I personaggi sono tutti parte di questa piazza, italiana per leggi geografiche ma internazionale per etnie e spirito. Piazza Vittorio non è di nessuno, e infatti nessuno la reclama. Diventa uno spazio di passaggio, da cui gli italiani-romani vorrebbero andar via e in cui gli italiani-immigrati vivono col pensiero rivolto fisso al loro paese. L’ascensore, luogo di spaesamento e di solitudine, è il rifugio di queste incrociate incomprensioni. L’unico luogo di incontro possibile
è per definizione un non-luogo.